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Lingua del trattato

Introduzione

Esistono due manoscritti esemplati sotto la diretta supervisione dell’autore che, come possiamo presumere, rispecchiano la veste linguistica originale. Tra di essi ci sono alcune differenze, ma non molto marcate. Nell’analisi della lingua ci basiamo sul manoscritto Ital. Quart. 48 e citiamo le forme da questo manoscritto. I risultati dell’analisi linguistica non sarebbero molto diversi per il Magliabecchiano XI, 15 della Biblioteca Nazionale di Firenze. Dove si riscontrano divergenze in qualche modo significative, cerchiamo di segnalarle.

La lingua del trattato può essere definita scorrevole e compatta. Le oscillazioni ci sono, come è normalissimo in un manoscritto dell’inizio del Cinquecento, ma sono limitate. Abbiamo condotto l’analisi della lingua del trattato di Filicaia confrontando il testo con altri testi e descrizioni del fiorentino quattro- cinquecentesco. In particolare, come guida ci sono serviti i seguenti studi:

Manni, Paola. 1979. «Ricerche sui tratti fonetici e morfologici del fiorentino quattrocentesco». Studi di Grammatica Italiana VIII (1979), pp. 115-171.

Manni, Paola. 1993. «Dal toscano all’italiano letterario». In Storia della lingua italiana, a cura di Luca Serianni e Pietro Trifone, III, Torino: Einaudi, pp. 321–42.

Frosini, Giovanna. 2015. «Firenze». In Città italiane, storie di lingue e culture, a cura di Pietro Trifone, Roma: Carocci, 2015, pp. 203-24, pp. 216-21

Frosini, Giovanna. «Lingua», in Enciclopedia Machiavelliana, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani 2014, vol. II, pp. 720-32.

Franco, Matteo. 1990. Lettere. A cura di Giovanna Frosini. Firenze: Accademia della Crusca.

Blasco Ferrer, Eduardo. 2015. Primo corso di linguistica italiana. Firenze: Cesati.

GRAFIA

A livello della grafia si nota soprattutto una forte tendenza latineggiante, non lontana dai gusti e dalle soluzioni degli scrittori toscani della fine del Quattrocento e dell’inizio del Cinquecento (si pensi p.es. a Machiavelli).

Si riscontrano diverse grafie latineggianti:

grafie di ti + vocale: scientia (1r e segg.), conditione (1v);

conservazione della h etimologica: mathematica (1v e segg.), habbi (1r), havere (1r), homo (1v), hoggi (1v), havendo (2r);

conservazione del nesso ct: proficto (1r), perfectione (1r), sancta (1v), sopradicte (1v), tucti (2r), riducti (2r), sanctissima (1v) (nesso -ct- con 1441 occorrenze);

conservazione del nesso pt: acceptare (3r), scripto (3r), captivi (24r) con numerossisime occorrenze (129);

conservazione del nesso  ps: epso (1v, 3v), relapsata (124r);

presenza della x etimologica: exaltare (1r), expositioni (2r), exemplo (4r);

recupero latineggiante della h nei verbi rephrendere e comphrendere (2r, 7r e segg.);

conservazione del nesso ph: philosopho (1r), triumpho (63v), dalphini (120v);

presente anche th: mathematicha (1r), Bartholomeo (2r);  

recupero latineggiante della h in th: sapienthia (44r), thrare, thrarai (97r).

Si nota l’oscillazione dell’occlusiva velare ch contro c davanti a vocale posteriore che preannuncia la fase moderna (Blasco Ferrer 2015: 85), tipica del fiorentino di quel periodo. Per esempio amicho/amico: “Poniamo che lo amicho habbi preso 8 et 3/4, doppiato fa 17 et ½, posto in su 17 ½ 5 fa 22 et ½, multiplicato 22 ½ per 5 fa 112” (11v) e “Et se l’amico pigliassi 5 et 1/2, doppiato fa 11, postovi su 5 fa 16, multiplicato per 5 fa 80, postovi su 10 fa 90, multiplicato per 10 fa 900, tractone 350 resta 550. Partito per 100 ne viene 5 ½ per il numero si pose l’amico”. Riscontriamo anche eccho/ecco: “Eccho lo exemplo materiale: sia la distantia che è fra voi cioè fra l’occhio vostro et il piè della torre sia braccia 400” (167v). “Ecco che la seconda volta non hai rotto (8v)”. Altri esempi sono: lungo/lungho, oppure i verbi venga/vengha e ponga/pongha.

Con grande regolarità la nasale palatale è rappresentata dalla grafia gn: digni (2r), digno (2v), cognitione (3r).  Sporadicamente la nasale palatale è scritta ngn: ingnoranti (105r), ingnorante (137v), ingnoranti (138r), ingnorante (139v). 

È presente l’uso di pt, anche non etimologico. Troviamo per esempio la forma ciptà: “Advenne che, forte fortuna, capitò nella ciptà di Milano uno architectore fiorentino”. In un altro posto c’è presunptuoso: “Ho voluto, Magnifico Iuliano, questa brieve faccetia recitare perché forse sarà qualche uno più presunptuoso” (46v).

L’affricata alveolare è rappresentata da z: mezo (5r).

È molto incerto l'uso delle maiuscole, documentato anche in (Franco 1990, 164).

In Filicaia, come del resto nelle lettere di Matteo Franco (Franco 1990, 165), le sbarre o i due punti a lato possono circoscrivere la voce verbale è (/e/). L’interpunzione è di fatto affidata a pochi segni grafematici, non recepisce le innovazioni, poi diffusesi, introdotte dall’edizione di De Aetna (1496) e delle successive aldine bembiane. Un punto a mezza altezza sta per una pausa debole, ma viene spesso collocato nei punti dove non ci aspetteremmo nessuna pausa. Una certa regolarità (sebbene non assoluta) si riscontra nella segnalazione della voce della terza persona singolare del verbo essere che viene segnalata con dei punti ai lati della parola. Gli stessi punti a lato sono utilizzati per mettere in rilievo i numerali, sia quelli romani che arabi.

FONETICA

Al livello fonetico nel testo, altrimenti molto regolare, come già ribadito, si nota una oscillazione tra le forme dittongate e non: giochi (1r, 4r), novo (9v), vole (35r), ma anche giuochi (4v), giuocho (6v), può (4v). Da notare anche l’oscillazione delle forme dittongate-non dittongate tra i due testimoni del testo (K e F). Qualche volta, alla forma dittongata in K corrisponde quella non dittongata in F e viceversa. Nell’insieme il dittongo risulta ridimensionato conformemente a quanto succedeva nella Firenze fine del Quattro­cento e dell’inizio del Cinquecento. In confronto alle lettere di Matteo Franco, studiate da Frosini, troviamo in Filicaia maggiore riduzione del dittongo. In particolare è significativa la riduzione del dittongo in trovare (anziché truovare) perché la forma dittongata si conserva con tenacia e “risulterà minoritaria solo a cominciare dal secondo o terzo quarto del Cinquecento” (Franco 1990, 167). Tuttavia, è presente brieve (con meno occorrenze rispetto a breve) che nelle scritture fiorentine dell’inizio del Cinquecento era più spesso monottongato.

Notiamo anche lo scambio del nesso ng con la nasale palatale, tipico anche del fiorentino d’oggi. Troviamo per esempio: “Onde tucti stupiti quivi non fu nessuno che potessi questo effecto mandare ad executione, ma guardando l’uno l’altro si ristrignevono nelle spalle” (46r), ma anche giugne (72v) per giunge e altri simili. Inoltre, il nesso gn si riscontra nel verbo porre e venire. Leggiamo: “Pognamo che l’amico pigliassi”; in altra parte: “attendiamo all’opera nostra et vegnamo alla prima dimostratione di questa seconda parte” (47r).

Si segnala anche la chiusura delle e in protonia. In tutto il trattato se ne osservano diversi esempi, tra cui spicca la forma dimandare, espressa in diversi tempi verbali: p.es. “et tu dimanderai che differentia sia dalla tua somma alla loro” (109v) e altre, numerose occorrenze (49).

Sono presenti anche le forme labializzate tipo domandare con numerose occorrenze (29). Quindi, nello stesso testo abbiamo l’oscillazione tra dimandare/domandare con la prima forma leggermente più frequente.

Un altro tipo di oscillazione riguarda o e u in protonia, dove spesso la u si mantiene (nei latinisimi in particolare), p.es. facultà (2r), multiplicare (38v), subtractione (3v), come del resto in Matteo Franco (Franco 1990, 171).

L’anafonesi è innalzamento articolatorio di e, o che diventano i, u davanti a palatali oppure nasale + velare. Si tratta di un fenomeno tipicamente fiorentino, uno dei tratti fonetici che maggiormente dimostrano la fiorentinità alla base dell’italiano. Il tratto è presente nel nostro trattato nelle forme che sono continuate nell’italiano moderno e con qualche caso di estensione rispetto all’uso moderno, Per esempio, nel trattato troviamo sia digno, che degno. Ad esempio, leggiamo: “anchor dire questa digna scientia havere in sé qualche parte di divinità” (1r), ma anche “Tamen lo ritrovai et parmi degno di essere commemorato nelli mathematici ludi et è questo” (136v). Si registrano anche signare, “hai a pigliare la seconda figura comme vedi qui signato” (108v), e segnare: “potete fare con uno filo piombinato facendolo pender innanzi ad voi et segnare in epso le mire vostre” (166v).

Il raddoppiamento fonosintattico è segnalato graficamente solo in alcuni casi: nel caso della preposizione a con il pronome lui (allui 33r), nel caso della preposizione a con il verbo fare (affar 33r).

An protonico al posto di en, l’uso tradizionale fiorentino (Frosini 2014: 724), è solo in parte presente. Accanto a poche forme di sanza (4), troviamo la schiacciante maggioranza di senza (52).

Alcuni tratti più popolari del fiorentino come sti per ski largamente presenti in scritture cinquecentesche, p.es. in Machiavelli (Frosini 2014: 723) o r+consonante che sostituisce l+consonante (fragello al posto di flagello) in Filicaia sono assenti (ibid.). 

MORFOSINTASSI

L’osservazione della morfologia porta alla conclusione che il testo è molto compatto e in prevalenza conforme alle soluzioni linguistiche comuni nella Firenze della fine del Quattrocento e inizio del Cinquecento. Poche sono le incertezze, le varie forme, anche se è presente qualche oscillazione, sono salde e univocamente interpretabili. La lingua di Filicaia, nelle soluzioni morfologiche, è indubbiamente fioren­tina come se l’Autore non si fosse mai allontanato da Firenze. Il soggiorno a Borgo non lascia particolari tracce. 

Ecco diversi fenomeni morfologici che sono testimonianze della fiorentinità del testo del trattato di Filicaia.

Articolo determinativo

L’articolo determinativo presenta forti oscillazioni, cosa non sorprendente per quell’epoca. Le forme coccorrenti sono lo/il/el, quest’ultimo tipico del fiorentino argenteo. Eccone alcuni esempi: “Il che inteso el Magnifico duca di tale cosa sbigottito più et più anni la lasciò inperfecta” e “el duca comme desideroso de intendere et vedere li homini virtuosi un giorno lo fece ad sé venire”, “apuncto el numero che lui prese comme se lo amico tuo havessi preso” (62r); (el numero Ir, el partire 3v, el preterirla 3v, el rotto 5v).

Tra il Quattrocento e il Cinquecento il morfema el, per quanto riguarda la frequenza d’uso, sembra prerogativa di un filone popolaresco con scarse testimonianze, p.es. nelle Stanze del Poliziano (Blasco Ferrer 2015: 95). Nel caso di Filicaia si oscilla tra el del fiorentino argenteo e la norma fiorentina colta di il (con el maggioritario). Per quanto riguarda gli articoli al plurale riscontriamo il diffuso utilizzo di li: “li meriti del Magnifico Lorenzo inverso di lui” (2v). Meno frequente i e sporadico gli “tucti gli altri” (141v), “fra gli altri” (176r). Significativa la forma ei (e’) che si riscontra in un numero limitato dei casi. Non si tratta di una forma completamente sconosciuta nei testi fiorentini del Cinquecento (presente p.es. in Jacopo Nardi), ma non comune: posto sopra ei dua quadrati (13r), cavi fora ei grossi (56v), tucti 3 e’ numeri (54v).

Possessivi

Il sistema dei possessivi può essere definito come tipico del periodo e della varietà diatopica. Riscontriamo le forme indeclinabili: mia, sua, tua al plurale. Leggiamo p.es.: “dalli mia antecessori et antiqui” (44v), ma anche “e sua architectori erano consueti” (45v), mia anni (1v), sua primi fundamenti (3r), questi mia secreti (4r). Si tratta dell’evoluzione quattrocentesca presente nel fiorentino (Manni 1993:  322).

 

Pronomi personali

Il pronome soggetto è ormai esclusivamente lui, ciò testimonia il cambiamento del fiorentino pienamente avvenuto. Lui ha 446 occorrenze, sia come pronome soggetto sia come pronome obliquo. Egli è presente esclusivamente nell’espressione egli è con il significato c’è, mentre come pronome soggetto non compare. “so che egli è al mondo di omni sorte de homini” (30r).

Il pronome soggetto femminile lei è presente una sola volta e si riferisce al soggetto inanimato: “A questo non rispondo perché l’opera risponderà lei” (24r).

Per il plurale viene usato solo il pronome loro.

 

Numerali

I numerali sono presenti con tantissime occorrenze come è prevedibile in un testo con numerosi calcoli. Sono significative le forme del numerale due che hanno una notevole varietà come normale nei testi fiorentini coevi (Frosini 2014: 727). Il più frequente è dua (103 occorrenze), presente anche due (33 occorrenze), marginale dui (2 occorrenze) e duoi (1 occorrenza). Negli inserti latini troviamo anche duo.

 

Altri fenomeni

Nella formazione del plurale sono presenti le forme femminili della terza declinazione in -e (le parte) e le forme plurali dell'aggettivo femminile in -e: cose sottile (3v), cose dilectevole (4v), le quale cose (5r).

Presente il tipo in nel per nel che viene definito di provenienza occidentale (Manni 1979: 168). Forma presente anche stabilmente in Machiavelli. Sulla stabile presenza di in sul nella prosa di Machiavelli (cfr. Frosini 2014: 727).

Anche la preposizione sul appare nella versione rafforzata in sul, tratto presente anche nel Principe. Esempi nei Giuochi: 12v, 93r , 114r, 148r e altre 25 occorrenze.

 

Verbi

Nel presente, come quasi scontato in un testo fiorentino, troviamo la prima persona plurale dei verbi –iamo invece di -imo, -emo, -amo: “Per questa tucta preallegata ragione possiamo et dobbiamo dire veramente questa scientia esser divina et in omni genere perfecta” (1v).

Assestamento della desinenza analogica –ono nei passati remoti e nei condizionali

Esempi di questa desinenza analogica non mancano nel testo (cf. anche infra l’imperfetto). Remoto: “vari architectori dilectandosi intendere vennono a vedere el modo e l’ordine” e ancora “mostrorono alla excelentia del signor Duca”, “Tucti una voce dissono” “in modo che tucti i christiani rimasono” (78r), “le promesse grande che lui  mi faceva me spinsono ad acceptare” (120r). Condizionali: “mancho assai harebbono loro tale ponte fabbricato” e “in quale modo anchora loro saprebbono porre l’uovo”.

Congiuntivo presente

La terza persona singolare e la terza persona plurale del congiuntivo presente in -i -ino è dovuta, come sostiene (Frosini 2014: 727) seguendo (Manni 1979: 156-159), a spinte analogiche nei paradigmi verbali. Queste forme sono largamente attestate negli autografi machiavelliani e, non sorprende, sono presenti nel testo del nostro trattato, coevo e fiorentino: habbi, vadi, facci, vadino, faccino, habbino. Come in Machiavelli, anche qui si nota un’oscillazione perché sono presenti (in misura minore) le forme in -a: faccia, vada, habbia, habbiano (assenti facciano e vadano

 

Futuro

Osserviamo una larga estensione della vibrante intensa nei futuri: "et sebene fussino 100 o 1000 homini sempre la troverrai" (99r); "la sua alteza entrerrà nella distantia" (167v) e molti altri esempi.

Nel futuro si nota la presenza della forma semplificata arai (harai) – accolta a Firenze dopo il 1350 (Manni 1979: 141), diffusasi a partire dai dialetti occidentali. Tale forma viene spesso usata insegnando proprio i giochi matematici: “Et in tucto harai 20 monti” (126v), “in sé arai 2 1/2 in sé fa 6 1/4 et 4 in sé fa 16 (13v). Harò per avrò (4r), harai (6r) sono tratti che facilmente posso­no essere classificati come forme fiorentine quattrocentesche.

 

Imperfetto

L'imperfetto nella seconda persona singolare è di tipo analogico come impostosi in Toscana nel Quattrocento: [tu] havevi (6v). Il ritorno al Trecento condizionò per lunghi secoli l'uso nella lingua letteraria italiana della forma etimologica [tu] haveva/aveva mentre a Firenze si continuava a dire [tu] avevi. Anche la prima persona è di tipo analogico in -o: pigliavo (119r), sapevo (122r), volevo (123r). La desinenza in -a è utilizzata esclusivamente per la terza persona.

Si notano anche –ono al posto di –ano nell’imperfetto, tratto ritenuto evoluzione quattrocentesca nel fiorentino (Manni 1993: 322), p.es. pensavono (125r) e raccomandavono (146r).

 

Remoto

È presente il tipo missi per misi (una sola volta): et così li missi d’acordo (139r). Per le desinenze analogiche -ono cf. supra.

 

Condizionale

Il condizionale della terza persona plurale in -ebbono: varrebbono (2v) è di uso prevalente, ma anche qui troviamo l’oscillazione - tipica a partire dal Quattrocento inoltrato - con le forme non fiorentine tipo saria, faria, interpretate come influsso meridionale da Manni (Manni 1993, 322).  Nel caso di saria (per sarebbe) si tratta di forma più frequente rispetto a sarebbe; faria, invece, è forma nettamente minoritaria nel nostro testo.

Un altro fenomeno interessante è l’oscillazione nell’uscita per la terza persona plurale del presente condizionale tra -ono e -ero. Abbiamo sia le forme tipo: conphrenderebbono, potrebbono, che farebbero e anche potrebbero.

 

 

Congiuntivo imperfetto

Le forme della terza persona del congiuntivo imperfetto con la desinenza in –i invece di –e sono ritenute un fiorentinismo argenteo: “Poniamo l’amico pigliassi 8, factone 2 parte, 3 et 5 quadra ciaschuno harai 9 et 25” (14r), oppure “et così tornerà sempre quando l’amico pensassi uno numero rotto solo et partissilo in più parte rotte” (14v). Nel nostro testo abbiamo alternanza di forme tra quelle con -i e con -e (havessi e havesse) con la prima più frequente. Per quanto riguarda il plurale, la forma argentea tipo havessino per havessero è quasi esclusiva: “se li antiqui doctori di medicina non le havessino cognosciute et datone notitia?” (2v), “non mi pareva havessino potentia di potere epsa submergere” (119v). Una sola volta abbiamo volessero (129v) (contro 4 volessino).

 

Il verbo essere 

Il congiuntivo presente è in linea con la prosa fiorentina coeva. Se prendiamo come punto di riferimento il Principe di Machiavelli, troveremo esattamente le stesse forme: sia per il singolare e sieno per il plurale e sporadicamente siano (una sola occorrenza in Machiavelli e una anche in Filicaia). Si nota quindi una differenza tra il singolare e il plurale. Sieno, la forma che continua la lingua letteraria del Trecento, è ben salda mentre sie è assente. Ecco i vari esempi:

“tucti sono variati nel conspecto delle persone parranno varii et sono perché, benché sieno in una medesima regola fundati” (11r) “ti piglia dua moltiplichationi l’uno paro et l’altro caffo et sieno di che qualità o quantità si voglino pure che non sieno rotti” (104v). La forma siano (1 occorrenza): “purché siano differentiate et diverse perché non potria l’occhio tanto apertamente judicare” (112r). Sia (con 233 occorrenze) p.es. “voi direte bene che io sia valente homo?” (46r), “uno che sia a lato al secondo” (117r).  

Sempre riguardo al verbo essere è presente il congiuntivo imperfetto alla prima, seconda e terza persona, fussi, con la u tonica che si riscontra sin dagli inizi nel senese, pisano e lucchese e che interferisce nel fiorentino dopo i primi decenni del XIV secolo (Blasco Ferrer, 2015: 100). Fussi e fussino sono forme generalizzate, non si riscontrano invece fossi e fossino.  Ecco esempi: “et che con mancho spendio et più facilità che a lloro fussi possibile li dessino disegno” “perché lo amico possa discernere quale lui vole pigliare perché se fussino tucti in uno conio con difficultà potrà vedere (81r e 81v).

Sono presenti anche le forme suto (3r) per stato, del resto frequente negli scrittori fiorentini dell'epoca e, ugualmente, fia (7v, 8r).

LESSICO

Le considerazioni sul lessico devono partire da un’osservazione su una forte ripetitività delle parole nel testo. Ciò non dovrebbe essere sorprendente visto che almeno la prima e la seconda parte contengono giochi aritmetici con numerosissimi calcoli espressi a parole, di conseguenza molto ripetitivi. Qualcosa cambia nella terza parte (con giochi più di carattere logico e non aritmetico) e nella quarta dedicata alla geometria (all’interno, anch’essa ripetitiva). Dove il testo si discosta notevolmente e presenta maggiore ricchezza lessicale è nelle parti introduttive a ogni sezione del trattato in cui autore mostra le sue ambizioni letterarie. I proemi sono parti pensate come elogiative della famiglia dei Medici e, in particolare, del dedicatario, perciò contengono visioni poetiche con un certo gusto e devono dar conto, probabilmente, delle capacità letterarie dell’Autore che vuole garantirsi l’ingresso nella cerchia dei fedeli di Giuliano de’ Medici.

La nota misura di ricchezza lessicale, l’indice di Giraud (non lemmatizzato), è pari a 14,93 che corrisponde a un testo altamente ripetitivo (la media dei romanzi del Novecento è 28,30 (calcolo sui romanzi del Primo Tesoro della Lingua Italiana del Novecento), l’indice di Giraud per Gli Asolani del Bembo è 22,48).

La ripetitività e la formularità del testo dei Giuochi in molti punti impedisce di accertare la presenza o l’assenza di diverse forme o parole. O meglio l’assenza di alcune forme o parole non è di per sé significativa perché va inquadrata nel contesto della formularità: per la natura stessa delle considerazioni di Filicaia sono assenti diverse forme verbali

In secondo luogo, va considerato l’aspetto terminologico che abbiamo approfondito negli articoli:

Palmarini, Luca, e Roman Sosnowski. “Geometria in Un Trattato Di Giochi Matematici Dell’inizio Del Cinquecento.” Romanica Cracoviensia 19, no. 1 (2019): 43–53.

Palmarini, Luca, e Roman Sosnowski. “Le vie della matematica ricreativa: il lessico aritmetico dei Giuochi mathematici di Piero di Niccolò da Filicaia”. In L’italiano lungo le vie della scienza e dell’arte, a cura di Alessandra Giannotti, Laura Ricci e Donatella Troncarelli, Firenze: Cesati 2020, 39-50.

Per quanto riguarda la terminologia, abbiamo concluso che la maggior parte dei termini aritmetici usati da Filicaia corrispondevano a quelli delle sue fonti (De viribus quantitatis di Pacioli per la parte aritmetica e De ludis di Alberti per la geometria). Si nota, però, una coerenza interna nell’uso delle terminologie. Ciò contribuisce a dare al trattato di Pacioli un aspetto di omogeneità.

Cf. anche la sezione del sito dedicata alla terminologia.

A questo punto è nostra intenzione concludere fornendo solo qualche accenno a parole presenti nel trattato che sono più marcate nel senso diatopico essendo segnalate da Manni (1979) come tipiche di quella varietà del fiorentino (ci sarebbero anche molte):

drento al posto di dentro (solo una volta nel manoscritto F)

drieto al posto di dietro

fuora e fora al posto di fuori

Confronto della lingua di Piero da Filicaia con la lingua di Luca Pacioli

[Il confronto della lingua di Pacioli e di Filicaia riprende i contenuti già presenti nell’articolo: Roman Sosnowski, Tra Firenze e Borgo San Sepolcro. Una ricognizione sulla lingua del testo inedito di "Giuochi mathematici di Piero da Filicaia", in: Percorsi linguistici tra Italia e Polonia. Studi di linguistica italiana offerti a Stanisław Widłak, a cura di E. Jamrozik e R. Sosnowski, pp. 55-63, 2014]

Un confronto con la lingua di Pacioli deve passare attraverso tre trattati: Ad discipulos perusinos, il trattatello sul gioco degli scacchi, e De viribus quantitatis. Il terzo per motivi contenutistici e cronologici, il primo e il secondo per motivi filologici. De viribus quantitatis, la cui unica copia è contenuta nel ms. 250 della Biblioteca Universitaria di Bologna, contiene sì gli enigmi direttamente confron­tabili con il testo di Filicaia ed è stato fonte diretta di ispirazione per il nostro, ma si tratta del testo alterato linguisticamente dal copista (Marinoni 1997: VIII). Pos­siamo accedere, invece, alla lingua di Pacioli attraverso il testo del trattato scritto nel 1478 (trattato Ad discipulos perusinos) contenuto nel codice Vaticano Latino 3129 che è uno dei due autografi pacioliani noti (Bressanini e Toniato 2011: 7). Anche il trattato matematico perugino contiene la descrizione dei giochi matema­tici recentemente pubblicata da Bressanini e Toniato in un volume che unisce la precisione filologica e l'approfondimento storico e matematico. Uno sguardo alla lingua pacioliana fa rilevare diverse sia le somiglianze che le differenze a livello fonetico e morfologico.

La limitazione del dittongo, presente già in Filicaia, è una tendenza ancora più vistosa nella lingua pacioliana, del resto conformemente alle caratteristiche della lingua di Borgo San Sepolcro. Mentre in Filicaia troviamo le forme anafonetiche (giugnedolo 5v, apuncto 171v), in Pacioli sono assenti (agionga, ponto, longi). La prima persona plurale in -iamo, naturalmente presente nel fiorentino Filicaia, non appare nella scrittura pacioliana in cui troviamo le forme: ponamo, metamo e non poniamo, mettiamo. Come ricorda Mattesini (Mattesini 2007: 53-62), altri tratti an­tifiorentini della scrittura pacioliana sono: la conservazione di -ar- intertonico nei futuri e nei condizionali (p.es. andarà, avarà, avanzarà, sumarai) nonché l'estensio­ne di -ar a dei casi dove di base ci doveva essere -er; lo scempiamento di alcune consonanti lunghe di origine settentrionale (p.es. metici, tute) che si alterna con la maggioranza delle forme non scempie; a livello morfologico le forme del condizio­nale che continuano infinito + HABEBAM (p.es. andaria, bisognaria); l'estensione della desinenza della terza persona plurale dell'indicativo presente dei verbi della I coniugazione -ano alle altre coniugazioni (Mattesini 2007: 61). Si nota quindi che, nei punti cruciali, Filicaia si attiene alla norma fiorentina coeva piuttosto che se­guire la varietà locale del posto dove risiedeva, cioè di Borgo San Sepolcro, lingua che invece troviamo rappresentata negli scritti di Luca Pacioli.