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Uovo di Colombo

Quasi tutti hanno sentito la storia dell’uovo di Colombo che è diventato addirittura proverbiale. Ad uno sguardo più attento si scopre che l’aneddoto ha diverse attestazioni letterarie nel XVI secolo: Benzoni (attribuzione della storia a Colombo), Vasari (attribuzione a Brunelleschi), Pacioli nel De viribus quantitatis (attribuzione a Brunelleschi). Lavorando sull’edizione del trattato dei giochi matematici di Piero da Filicaia dell’inizio del Cinquecento, abbiamo scoperto una versione differente, diversa e ricca di particolari. Il nostro Filicaia propone questa storia come un racconto ascoltato dagli avi e descrive in dettaglio tutta la vicenda. Bisogna anche dire che il racconto non è fine a se stesso, ma ha una funzione precisa nel trattato. Serve all’autore per rivendicare l’originalità della raccolta dei giochi matematici e la creatività del genio fiorentino.

Ecco la storia dell’uovo raccontata con le parole del nostro trattato (cc. 44v-47r):

Ricordami havere udito dire, Magnifico Juliano, dalli mia antecessori et antiqui che intervenne nelli preteriti tempi allo Illustrissimo duca di Milano volere fabricare un ponte in Lombardia sopra una fiumana decta l’Adda, se bene me ricorda, et a ciò meglio tale effecto conseguire potessi, convocati tucti li maestri et architectori della sua Lonbarda regione, proposta loro tale opera volere mandare ad effecto che desiderava, li dicessino l’ordine et modo che a tale artificio era necessario et che con mancho spendio et più facilità che alloro fussi possibile li dessino disegno. Il che inteso dalli prenominati maestri et architectori et sopra ciò preso quella conclusione li parve oportuna, mostrorono alla excelentia del signor Duca tal cosa non potersi fare senza difficultà et per questo ne seguitava spese a tale opera inconvenienti. Il che inteso el Magnifico duca di tale cosa sbigottito più et più anni la lasciò inperfecta comme quello che giudicava essere quasi impossibile. Advenne che, forte fortuna, capitò nella ciptà di Milano uno architectore fiorentino il cui nome adesso non l’ho alla memoria et, essendo epso nella prefata ciptà, el duca comme desideroso de intendere et vedere li homini virtuosi un giorno lo fece ad sé venire et, fra li altri electi ragionamenti, li dimandò consulta sopra questo ponte che più anni comme iusto et bono signore et di sui popoli amorevoli haveva desiderato di fabricare perché a popoli sua viandanti dava grandissima incomodità questo fiume. El nostro architectore fiorentino, inteso et visto con lo spiculativo occhio la cosa di che qualità era, brevemente li respose che con mancho spendio et con molta più facilità tale opera fabricare si poteva che dalli sui architectori li era stato exposto offerendosi lui in simile exercitio volentieri affatigarsi per fare cosa grata a sua signoria. El che molto piacque al duca et, aceptate le sue offerte, dette principio a fabricare uno magno et spatioso ponte sopra el predicto fiume. Hora, comme adviene, el nome andò per tucta la Lonbardia comme uno maestro fiorentino haveva principiato el prenominato ponte. Onde, molti et vari architectori dilectandosi intendere vennono a vedere el modo e l’ordine che costui haveva trovato. Di che naque che molti o la magior parte inteso el priegio che costui aveva di dicta opera, andorno al signor duca dicendo che con mancho assai harebbono loro tale ponte fabbricato che non faceva questo fiorentino, il che indusse nell’animo del duca un pocho di sdegno che si riputava giunctato et alquanto inanimito contra epso maestro. Et, factolo a se venire, li disse havere molti maestri et architectori nella sua ciptà che questo ponte harieno per mancho priegio assai che lui conposto et fabricato di che lui intendeva che lui venisse a pregi che e sua architectori erano consueti. Donde el nostro architectore, comme homo experto di acutissimo ingegno, dimandò in gratia al duca che facessi venire quelli homini che di simile cosa si vantavano che voleva con loro conferirse et non era per iscostarsi dalle cose iuste. Et ragionevole il che subitamente fu facto. Venuti adunque li prenominati maestri et constituiti nella presentia dello Illustrissimo signore duca insiemi col nostro fiorentino, furono i predicti da epso dimandati se erano loro quelli che tale cosa admiranda fare volevano il che dal loro fu quivi confirmato. Onde el nostro fiorentino, preso in mano uno uovo et postolo insù uno schacchiere pulito, disse alta voce: horsù, chi di voi ferma questo uovo qui nel mezo di questo schacchiere senza romperlo et con presteza cioè innanzi che passi uno quarto di hora hoggi, guadagnerà 50 ducati. Onde tucti stupiti quivi non fu nessuno che potessi questo effecto mandare ad executione, ma guardando l’uno l’altro si ristrignevono nelle spalle. Onde, passato lo spatio da llui dato, che passò presto, disse loro: se la rizassi io nel modo predicto, voi direte bene che io sia valente homo? Tucti una voce dissono: si certo perché in facto chi non ha el modo et sua facilità li parrà cosa stupenda, onde furno constrecti dire sì. Et lui, preso di uno cantuccio o camino uno pocho di cenere et quella messa in sul mezo dello schacchiere, vi rizzò su l’uovo con la sua puncta, onde li maestri lombardi cominciarno a ridere facendosi beffe di simile acto. Dissono che in quale modo anchora loro saprebbono porre l’uovo, di che el nostro fiorentino rispose: così sapete fare el ponte hora ch’io vi ho mostro el modo, ma prima ch’io vi mostrassi la via non sapevi fabbricare el ponte et non sapevi rizare l’uovo nel mezo dello schacchiere et omni uno sa fare a giuocho insegnato. Alle quali parolle non fecero risposta alcuna. Il che inteso el magnanimo Duca molto li piacque simile acto et giudichollo homo veramente di mirabilissimo ingenio et, licentiati li sua architectori, li disse che alla sua opera attendessi. Ho voluto, Magnifico Iuliano, questa brieve faccetia recitare perché forse sarà qualche uno più presunptuoso ch’el bisogno che dirà: io anchora havrei saputo una simile opera compilare. Et diranno questa essere suta di grandissima facilità a che rispondo comme el nostro fiorentino che ciaschuno sa fare a giocho insegnato et che quando la via è facta omni uno sa per epsa facilmente caminare.

Abbiamo analizzato questo aneddoto in dettaglio in un articolo pubblicato in Cuadernos de Filologia Italiana («Ma l’uovo era veramente di Colombo?: l’attestazione dell’aneddoto nel manoscritto di Piero da Filicaia dell’inizio del Cinquecento». Cuadernos de Filología Italiana 26: 167–80), rimarcando le differenze tra la versione di Filicaia e quelle di Pacioli, Vasari e Benzoni. Nel nostro racconto la querelle riguarda la costruzione di un ponte in Lombardia, l’uovo è posto sulla scacchiera e, inoltre, il guscio dell’uovo non viene schiacciato come in altri racconti, ma il trucco consiste nel poggiarlo su una montagnetta di cenere. Infine, abbiamo identificato il personaggio dell’architetto che è protagonista del racconto nella versione di Filicaia. Sebbene l’autore non lo nomini mai esplicitamente, vari indizi portano a un architetto fiorentino del Quattrocento, Antonio Averlino detto il Filarete. Così l’uovo di Colombo si trasforma nell’uovo di Filarete!